Il Passaggio da una Misura Relativa della Visione, ad una Visione Assoluta, comporta innumerevoli trasformazioni, alcune delle quali profondamente contro-intuitive, del modo in cui si legge sia la Realtà sia gli Altri. Una delle prime conseguenze è, a mio avviso, nel recedere progressivo di tutte quelle formule di Visione che hanno ancora carattere proiettivo e soggettivante, lo svuotamento di senso cui vanno incontro tutte le valutazioni aventi carattere comparativo o perlomeno l’importanza specifica assegnata ad esse nella successiva operazione di autodeterminazione. Parlando in altri termini, si potrebbe osservare come la sopravvivenza della necessità di fondare la propria autodeterminazione sul compromesso che la proiezione altrui intende creare, od anche sulla specifica dinamica attuantesi nel progressivo adeguamento che tale compromesso, giunto al suo equilibrio massimo, alimenta, ha senso solo fintanto che la Misura Visuale assunta nell’Essere non sia quella Assoluta, vibrante di un ipseità non solo sentita, ma conseguita e fissata. Prendiamo lo specchio dell’umanità, osservandola da epoche, cicli, stadi evolutivi diversi, e notiamo come essa sia mutata parallelamente a tali cangiamenti, e non perchè sia mutata in se stessa (parlando ora in termini generali), ma perchè a mutare è stata la dinamica configurativa dell’Essere che ne raccoglieva Visione, Percezione e frequenza. In tutte le fasi che precedono la vista Assoluta, l’altro, era misurato, sia in se stesso che rispetto a come entra in noi la sua percezione, secondo misure relative, anche in presenza di una tensione, in colui che vede, verso il Trascendente. Lo dimostra il fatto che il parametro valutativo, stavo giusto riflettendo poco fa, quando settato su dimensioni relative, fa riferimento ad esse e risente della mutevolezza con cui la proiezione si riafferma alle frequenze più materiche. L’altro, in pratica, diventa oggetto di interesse, critica, riflessione, e quant’altro, proprio perchè la misura visuale relativa, non avendo un ipseità, ha continuo bisogno di portarsi fuori da sè, abbracciano la dimensione comparativa nella sua relatività, estraendo poi da essa conclusioni, deduzioni, soluzioni, risposte. Ed è questa la misura dell’uomo comune, in cui il confronto con i suoi simili consapevole o meno che sia, ed a qualunque livello operi, è necessario per la sopravvivenza non solo dell’io, ma è anche l’unico veicolo attraverso cui avviene una determazione di sè. Determinazione di sè che non è di livello superiore, ma è strettamente vincolata, per poter esistere, alla misura che l’altro, portando con il suo essere indeterminato, determina entro il compromesso, crea nella contiguità delle frequenze. Egli quindi, dentro questa misura, può dunque essere ancora colpevole di qualcosa, od ancorchè meritevole, sulla base di considerazioni che si nutrono solo di misure relative, soggettivizzanti, e la realtà stessa, nell’estensione della riflessione che abbia questo nucleo focale, è colpevole o meritevole, sempre su tale base e sempre secondo misure visuali relative. Ma perchè insieme alla visione assoluta, cessando il dualismo oppositorio, cessa anche la percezione stessa di colpa o merito, e il confronto smette di avere qualunque senso? Non la misura relativa che si “crede” assoluta, ma quella assoluta che pur accettando l’esistenza di quelle relative, e potendo gestire la dialettica cmunicativa di queste stesse, si porta “fuori”. “Fuori” da ciò che l’uomo comune ha per unico modo di intendere, pensare, valutare, riuscendo finalmente a Vedere questo flusso incessante e relativo, impermanente e privo di importanza, che occupa quasi l’intero spettro attenzionale dell’uomo ordinario. Lo si vede, e lo si abbraccia come una Visione neutra, priva di assegnazione di colpe, meriti ne valori, ma soprattutto ne si comprende la natura in un atto di Conoscenza Pura. E’ qui che cessano le lotte, le concorrenze, le proiezioni, non avendo più bisogno di sostenere la determinazione del sè con la misura relativa, essa viene vista in quanto priva di importanza, ed appunto “relativa”. Relativa a colui che, assegnandogli un importanza soggettiva enorme per la sua determinazione, e proprio perchè in quell’ordine di frequenza ciò è in parte anche naturale ed inevitabile processualità, non ne è “uscito”. Da qui, parte poi una nuova dinamica Visuale che vede il Mondo come insieme di Fatti, piuttosto che di proiezioni, “fatti dati” nella Visione immediati nella Comprensione intuitiva. E si apre un Panorama completamente diverso dal precedente, in cui nessuno ha Colpa per ciò che è, ed opera, ne tanto meno si può intendere quale “inferiore” e o “superiore” qualunque configurazione diversa dalla Propria, e ciò proprio perchè non esiste una misura relativa per l’Assoluto. Gli Assoluti e le ipseità sono Cosmi in estensione che non entrano in alcun rapporto con il resto, poichè ne sono “fuori” pur essendone al contempo “dentro” nella forma. E vi sono dentro solo “nella forma del movimento” , secondo moti propri, per cui a parità di azione non esiste un parametro basato su misure visuali relative appicabili, ma esiste solo un unica Visione che ne può restituire il Significato autentico, completo, ed assoluto, del suo Essere, e tale è un altra Visione Assoluta. Menchemeno nessuna Visione Relativa, potrà mai accordarsi a tale frequenza, ne comprenderne lo statuto. Contro intuitivo, in tutto ciò, è che si scopre qui, che tutto ciò che era accordato all’Essere era già in Essere, e rispetto a ciò l’altro era Altro, e come tale ora viene concepito. “Altro” nel senso di “qualcosa che non potrà mai fungere da riferimento per nulla” e che “non sarà mai riferibile a nulla che riguardi il sè trascendente”. Diciamo che si passa attraverso questo errore dato da una visione relativa che protesa all’assoluta si crede talvolta ciò che non è, ma il segno della determinazione del se nell’ipseità è invero proprio questo essere “fuori” . Lì dove cessano sia le colpe che i meriti l’altro diventa a sua volta qualcosa che ha un suo diritto di esistere nell’unico modo in cui il suo grado evolutivo permette di essere, senza che ciò entri dentro una sfera di riflessione dal carattere comparativo o proiettivo, ed in questo modo l’altro è anche davvero “libero” da noi, e noi da lui. Poichè finchè si tenda alla comparazione, o essa rappresenti un mezzo privilegiato per la determinazione del se, o per dirla in altri termini, finchè si provilegerà una misura visuale relativa al posto di una assoluta, nessun mondo è “Libero”. Il Mondo diventa “LIBERO” nel momento in cui la Visione assoluta sposta l’asse visuale in un modo che resta ed è comunque incomunicabile. Ed incomunicabile si comprende che è, solo quando tale stato visuale sia avvicinato e non prima. E qui sorge la comprensione conseguente ed assoluta del Silenzio a tale riguardo, proprio perchè la Comunicabilità di tale stato esiste solo a parità di Stati e attraverso il Silenzio. Solo a questo punto il mondo è libero, è solo a questo punto Liberi si esiste in esso, uniti in Forma ed Essere, essendosi autodeterminati.
(Nera Luce)